top of page

Scrivere.

Chi scrive in realtà? Certo, c’è un’idea, un progetto. I più bravi hanno persino uno schema da seguire e caratterizzano il personaggio già nella mente o si prendono un appunto a parte prima di farlo comparire sulla carta o sullo schermo del computer: è molto alto, magro, longilineo, di età avanzata, il volto scarno è bianco come il latte, il naso aquilino, le labbra rosse come due ciliegie, è lento e metodico. Cose così, alcuni dettagli fisici, le sue abitudini, il linguaggio che usa.

Poi però anche il più bravo comincia a scrivere la sua storia e lì cambia tutto. Il personaggio si mette a fare cose non previste: si cala dalle finestre come una lucertola, le sue guance diventano rosso sangue, dimostra una forza che il suo fisico non avrebbe lasciato immaginare e l’autore ne è soggiogato.

Chi scrive in realtà? Chi è alla guida di quella macchina automatica che si mette in movimento nel cervello e che allinea parole che subito diventano persone, luoghi, fatti?

Da quando uso gli occhiali sia per scrivere che per leggere, ho l’impressione di calarmi in un liquido più limpido, dove le parole appaiono chiare e immediate, mentre sopra di me il mondo continua il suo torbido movimento.

Inspiro, inforco gli occhiali e mi immergo dentro le parole.

Quando scrivo uso un linguaggio diverso e non perché lo cerchi. Arriva senza che lo pensi, comandato da zone del cervello che io non controllo.

Io. Io chi? Quello che parla o quello che scrive?

Se rileggo un mio racconto dopo mesi, me ne meraviglio, quasi non ne ho memoria. Sembra scritto da un altro. Forse l’ha scritto un altro. Uno più bravo, più coraggioso, più audace. Più scrittore di quanto io non sia. 

 

Estratto da l'Angelo Nero, il mio romanzo di Autofiction

bottom of page